La Scala alla Versiliana Festival 2022

La nuova generazione di artisti del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, oggi diretto da Manuel Legris, si sta imponendo sempre più sulla scena internazionale per bellezza, versatilità, bravura.

Pronti ad affrontare sfide complesse – sia nel grande repertorio classico-accademico, sia nelle nuove forme che la danza di oggi assume attraverso creazioni di grandi maestri- gli interpreti scaligeri dimostrano infatti stagione dopo stagione non solo di formare un meraviglioso ensemble, ma anche di essere, individualmente, personalità affascinanti e carismatiche.

Di fatto di possedere quella ‘ star quality ’ che fa di un grande danzatore un vero artista. Ne è perfetta dimostrazione questo Gala di Danza presentato in esclusiva alla Versiliana, in scena il 20 agosto al Teatro Grande,  nel quale l’unicità di questi talenti sarà evidente grazie alla sapiente scelta dei lavori interpretati ma anche per lo special touch che ciascuno di loro sa aggiungere a coreografie ben note: da Nicoletta Manni a Virna Toppi, da Vittoria Valerio a Alice Mariani, da Timofei Andrijashenko a Nicola del Freo, Claudio Coviello Mattia Semperboni e Gabriele Corrado, i primi ballerini e solisti scaligeri protagonisti della serata sono infatti dei veri fuoriclasse, perfetti rappresentanti di un’arte capace di rinnovarsi ed essere eterna allo stesso tempo.

Sara Zuccari

Torino Danza d’Autunno premio alla carriera alla stella Liliana Cosi

Torino Danza d’Autunno torna live sabato 11 e domenica 12 dicembre 2021 alla Lavanderia a Vapore di Collegno. Moltissime le coreografie iscritte, tanti partecipanti e un cast docenti e giurati d’eccezione: Mauro Astolfi, Matteo Addino e Liliana Cosi.

Liliana Cosi riceverà domenica 12 uno speciale Premio alla Carriera in quanto Eccellenza della Danza Italiana, interprete assoluta e indimenticabile, divulgatrice dell’Arte Coreutica nel mondo. Come Étoile presso il Teatro alla Scala di Milano interpreta i ruoli più impegnativi del repertorio classico e danza al fianco degli interpreti più importanti del panorama mondiale.

Liliana Cosi è tra le più grandi étoile della danza italiana. Milanese, nasce nel 1941. Compie i suoi studi alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala sotto la guida della direttrice Esmée Bulnes e si diploma nel 1958 quale miglior allieva, ricevendo un premio dal Sovrintendente Antonio Ghiringhelli  per le mani di Wally Toscanini. Viene subito assunta nel corpo di ballo della Scala con contratto a tempo indeterminato e partecipa a tutti gli spettacoli d’opera e balletto. Nel 1963 si aprono i primi scambi culturali tra il Teatro Bolshoi di Mosca e il Teatro alla Scala di Milano. La Cosi viene inviata per un corso di perfezionamento.

Nel 1968 è promossa Prima Ballerina alla Scala e vi interpreta i ruoli più impegnativi del repertorio classico come “Romeo e Giulietta” di Prokofiev-Cranko”, “L’Uccello di Fuoco” di Stravinski-Fokine, “Petrouchka” di Stravinski-Milloss, “Coppelia” di Delibes, “Les Sylphides”. Nello stesso anno compie la prima tournée in Unione Sovietica su invito del Goskonzert con il “Lago dei Cigni” e “Giselle” a Mosca, Riga, Odessa, Tbilissi. Questo evento diventerà un appuntamento annuale e addirittura bi-annuale per cui, in otto anni totalizza 130 spettacoli nei Teatri di tutte le capitali dell’URSS, ballando sempre coi primi ballerini dei diversi Teatri che la ospitano nel “Lago dei Cigni”, “Giselle”, “La bella Addormentata nel Bosco”, “Don Chisciotte”. Nel 1969 alla Scala è richiesta da Nureyev a ballare “La Bella Addormentata nel Bosco” ed è con lui che sarà la protagonista del suo “Schiaccianoci” alla Scala. Nello stesso anno debutta, sempre alla Scala, nella ‘prima’ di “Romeo e Giulietta” di Berlioz-Skibin con Attilio Labis e più avanti in “Daphnis e Cloe” di Debussy-Skibin con Bortoluzzi. Nel 1970 è nominata “étoile”.

Nel settembre 1978 inaugura la sede dell’Associazione a Reggio Emilia che diviene presto un grande Centro di Produzione, sede della Compagnia Balletto Classico Cosi-Stefanescu e della Scuola di Balletto a livello professionale e anche residenziale. Con tutto il repertorio della Compagnia formato da più di 20 nuove produzioni create da Stefanescu e da diversi balletti del repertorio classico, balla in più di 2000 spettacoli in tournée in circa 350 città italiane e 50 estere.

Sara Zuccari

“Parole che Danzano” il libro dell’étoile Roberto Bolle

“Parole che Danzano” è il nuovo libro di Roberto Bolle, il volume è edito dalla casa editrice Rizzoli, si tratta di un libro che racconta la storia artistica, personale e umana di uno dei più celebri danzatori del panorama coreutico di oggi.

Roberto Bolle è senz’altro oggi il ballerino più conteso dai teatri e dai coreografi di tutto il mondo e non potrebbe essere diversamente quando si nasce con un talento come il suo e lo si coltiva con tanta cura e dedizione. E’ nato a Casale Monferrato il 26 marzo del 1975 ed ha iniziato giovanissimo i suoi studi nella Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano: “La carriera nel mondo della danza si sviluppa prestissimo, da giovanissimo. Bisogna sviluppare doti da atleta, curare l’interpretazione e lo studio. Dopo i 40 anni c’è un evitabile declino fisico. La carriera è breve, bisogna darsi da fare per dare il massimo molto presto”.

Roberto aveva solo 15 anni e un futuro da stella davanti a sé. L’incontro con Nureyev è stato determinante“Mi ha dato soprattutto dei consigli tecnici, correggendomi alla sbarra e in alcuni esercizi. In un certo senso, mi ha aggiustato l’impostazione di base. Ero molto giovane e ne avevo davvero un grande bisogno”.

Riconosciuto da tempo come il principe della danza per la sua strabiliante tecnica e per la sua bellezza scenica, Roberto Bolle ricopre spesso il ruolo da principe poiché gli calza a pennello. D’altra parte il suo fisico scultoreo incarna perfettamente l’ideale della bellezza classica e i suoi grandi occhi chiari, su un volto dai lineamenti estremamente delicati, esaltano questo suo aspetto naturale da “Principe Azzurro”. Commenta così il fatto che spesso i critici parlino più del suo aspetto fisico che della sua tecnica (eccelsa!): “Il fisico, nella danza è fondamentale per aggiungere credibilità al personaggio”.

Ma, nonostante egli sappia di avere un talento e una vita fuori dal comune, eccezionale, conserva una grande umiltà, sa essere critico verso se stesso, mettersi in discussione e rinnovarsi continuamente. Afferma infatti: “Ho già interpretato la maggioranza dei balletti che volevo fare. Ora mi sto concentrando a trovare nuove sfumature per dare al pubblico nuove emozione” e confessa: “Nella carriera di un danzatore è importante interpretare anche ruoli poco congeniali. Bisogna ampliare la sfera delle interpretazioni”.

“Sollevai la cornetta e composi il numero. Il tempo di dire: ‘Mamma, mi hanno promosso primo ballerino’, e scoppiai in lacrime. Eravamo una gioia sola. Era la realizzazione di tanti sacrifici, di un percorso voluto, sofferto, travagliato, che mi aveva visto andar via di casa da ragazzino. In quell’istante non percepii tanto la mia gioia quanto la loro. Di questo sarò sempre grato alla danza.

Mi ha offerto la possibilità di diventare un unico battito, un unico sentimento, prima con i miei genitori, e successivamente con il pubblico.” Comincia da qui la storia intima e profonda di Roberto Bolle. Una storia narrata in prima persona da uno dei più grandi ballerini del nostro tempo, raccogliendo – in un vocabolario inedito, coinvolgente, appassionato – le parole che hanno dato e danno senso alla sua vicenda artistica, personale e umana. Una “coreografia” di pensieri, ricordi, sogni, desideri, paure ed emozioni, composta dagli assolo di alcune straordinarie “parole che danzano”.

Sara Zuccari

La bayadère di Rudolf Nureyev conquista il Teatro alla Scala

La bayadère di Rudolf Nureyev sta conquistando ancora prima di andare in scena.

Merito della esclusività di questo appuntamento, che inaugurerà la nuova Stagione di Balletto portando per la prima volta in scena uno spettacolo finora rappresentato solo dal Balletto dell’Opéra di Parigi per cui fu creato; quella che è stata di fatto l’ultima produzione di Nureyev dei grandi classici,  debutterà alla Scala con una nuovissima veste, con scene e costumi realizzati appositamente per la Scala da Luisa Spinatelli. E merito anche della spettacolarità di questa produzione, che permetterà di presentare e far brillare al completo la attuale Compagnia con la sua rinnovata immagine: dai primi ballerini, ai solisti e a tutto il Corpo di Ballo nei numerosi ruoli principali e nei grandi momenti di ensemble, primo fra tutti il meraviglioso quadro del Regno delle Ombre.

Quattro diversi cast si alterneranno nei ruoli principali di  Nikiya, una delle baiadere, le danzatrici del tempio che custodiscono il fuoco sacro, di Solor, nobile guerriero e di Gamzatti,  la figlia del Rajah: apriranno le rappresentazioni il 15 dicembre Nicoletta Manni (Nikiya), Nicola Del Freo (Solor) e Virna Toppi (Gamzatti), che danzeranno anche nelle recite del 17 dicembre e nell’Anteprima Under30 del 14 dicembre.

In scena il 21 dicembre e nell’ultima recita dell’anno, il 31 dicembre alle ore 18,  Martina Arduino (Nikiya), Marco Agostino (Solor) e  Alice Mariani (Gamzatti), mentre il 30 dicembre e il 7 gennaio saranno in scena Vittoria Valerio (Nikiya), Claudio Coviello (Solor), Alessandra Vassallo (Gamzatti).

Nell recite del 5 e 8 gennaio, accanto a Svetlana Zakharova già annunciata nel ruolo di Nikiya, sarà  Timofej Andrijashenko nel ruolo di Solor e  Maria Celeste Losa interprete di Gamzatti.

Sara Zuccari

Jacopo Tissi una stella in Russia, orgoglio italiano

Jacopo Tissi Il Futuro della danza italiana. Il giovane Jacopo Tissi (Classe 1995) nasce a Landriano (Pavia),  è sicuramente l’erede naturale del mostro sacro della danza italiana e internazionale Roberto Bolle. Si è formato all’Accademia della Scala dove ha subito dimostrato di essere un vero fuoriclasse.  Durante la stagione 2014/15 ha ballato con il Balletto di Stato di Vienna sotto la direzione di Manuel Legris, nella stagione 2015/16 è entrato a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala sotto la direzione di Makhar Vaziev, avendo come repetiteurs Vladimir Derevianko e Olga Chenchikova. Attualmente è Primo Solista nel Corpo di Ballo del Teatro Boslhoi di Mosca. – 

Jacopo, tu parti da Landriano, un piccolo centro vicino a Pavia.  Come ti sei avvicinato alla danza o meglio come la danza è venuta a bussare alla porta di casa tua?

Diciamo all’incirca a 5 anni, forse perché ho anche i primi ricordi più chiari.

Ballavo sempre quando mettevano la musica, mi piaceva ballare e anche esibirmi , ovviamente la mia danza non aveva una direzione già precisa, però la danza classica mi ha catturato, anche dal televisore di casa.

Quando ho visto il balletto classico per la prima volta in tv ho chiesto ai miei genitori di iscrivermi ad un corso di danza classica.

Poi arriva il grande giorno la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Che ricordi hai? 

Ricordo con grande affetto gli anni alla Scuola di ballo, sono stati otto anni molto importanti e molto incisivi nella mia crescita. Ricordo dalla prima audizione, ai primi spettacoli al Teatro Alla Scala, gli esami, gli spettacoli al teatro Strehler , il diploma .. custodisco tanti ricordi speciali del mio periodo accademico.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai riscontrato nel percorso coreutico?

Combinare la Scuola di Ballo alla Scuola Statale, soprattutto quando sono passato al Liceo serale, tra gli orari e gli impegni non è stato facile. Dall’altra parte lavorare e rinforzare il mio corpo con una crescita molto rapida e significativa, cosa che poi è stata un vantaggio per il mio percorso.

Makhar Vaziev quanto devi al Maestro? Cosa è stato fondamentale in quel momento per spiccare il volo? Devi ringraziare qualcun’atro che è stato altrettanto fondamentale?

Tantissimo. Vaziev è il mio mentore, la persona che ha permesso di realizzare tutto quello che mi è accaduto fino ad oggi, che ha formato il mio carattere e la mia impostazione, una persona molto speciale per me.

Il lavoro , tanto, ogni giorno in sala tutto il giorno e il carattere, credo sia una cosa molto importante.

La mia famiglia, che è la mia forza sempre; I miei maestri all’Accademia del Teatro alla Scala e il mio insegnante al Bolshoi, Alexander Vetrov. Da quando sono arrivato a Mosca ad oggi ho lavorato con lui gran parte dei balletti del repertorio, mi ha fatto crescere molto sia tecnicamente che artisticamente, gli sono molto affezionato ed è per me un grande sostegno.

La prima volta che ti è stato affidato un ruolo da primo ballerino cosa, dove e quando?

Il Principe Desiré nella prima della Bella Addormenta di Ratmansky al Teatro alla Scala, con Svetlana Zakharova, una persona per me molto importante e a cui devo molto. Lo considero il mio battesimo di scena.

Cosa hai pensato, prima di entrare in scena?

“È la tua occasione”.

Sei scaramantico? Se si custodisci per caso un rituale?

Diciamo che a queste cose è bene non crederci però anche non crederci non è bene.

Secondo te, qual è la dote che non può mancare ad un ballerino?

Il carattere.

Esiste l’amicizia tra danzatori, artisti e colleghi?

Sì.

Il ruolo ballettisticamente parlando che ti rappresenta di più?

Ci sono una serie di ruoli a cui tengo particolarmente, è difficile sceglierne uno. Ogni ruolo rappresenta una diversa parte di me.

Ti senti più Albrecht o Basilio?

Albrecht sicuramente.

Come ti avvicini ad un personaggio che devi interpretare? 

Conoscendo bene il soggetto, traendo ispirazione guardando le performance di altri ballerini, anche del passato e poi il lavoro in sala alla ricerca dei passaggi tecnici e delle sfumature dell’interpretazione, avvicinarsi ad un ruolo vuol dire anche fare una ricerca dentro se stessi.

Tu sei bellissimo. La bellezza conta per una carriera importante?

Grazie, ognuno ha le proprie qualità. L’estetica credo sia un elemento importante sul palcoscenico, però non è tutto. Il pubblico vuole vedere qualcosa di speciale, ognuno deve saper giocare le proprie carte.

Ora sei in Russia, raccontaci?

Sono sempre stato attratto dal balletto russo, sin dagli inizi degli studi. È sempre stato un sogno nel cassetto poter venire al Bolshoi, a Mosca, a San Pietroburgo.. è stato per me un cambiamento importante trasferirmi qui, anche non facile, dovendo confrontarmi con un nuovo mondo, una nuova lingua .. allo stesso tempo oggi sono molto contento di tutto quello che ho ricevuto in questi anni sia dal profilo professionale che personale, la Russia è un paese che supporta enormemente il balletto, il Bolshoi e la cultura in generale, cosa che permette agli artisti di avere una grande possibilità di arricchirsi.

Tu sei consapevole che oggi sei la nostra stella italiana e il nostro orgoglio?

Mi fa molto piacere sentire queste parole, ogni volta che mi esibisco porto con me anche il nome dell’Italia e questa è per me una grande responsabilità, ma anche un grande onore.

Talento a parte, come si diventa Jacopo Tissi?

Non penso di essere “arrivato”, la realizzazione di se stessi è un processo lungo e continuo. Però posso dire che quello che ho raggiunto fino ad oggi , arriva da tanto lavoro, coraggio e spirito di sacrificio.

Tra i miti della danza ce n’è uno che è stato per te fonte di ispirazione?

Non posso dire di avere solo un ballerino come fonte d’ispirazione, però tra questi sicuramente Barishnikov, Nureyev,Valdimir Vasiliev, Soloviev, Liepa ..

Che cosa rappresenta per te il palcoscenico e la definizione artista che significato ha?

Il palcoscenico è il senso del nostro lavoro, il risultato in scena, il momento in cui tutto vive, un momento pieno di un’energia incomparabile.

Artista per me è la persona che riesce a trovare in se e a tirare fuori il linguaggio, l’energia per trasmettere la sua danza alle persone sul palco e al pubblico, colui che riesce ad essere padrone della scena.

Cosa pensi del mondo della danza ? 

Credo che in questo difficile periodo per tutti, il mondo della danza stia attraversando un momento molto duro, penso e spero che nelle priorità e nelle esigenze di ogni giorno ci saranno la volontà di investire in questo settore, di preservare la tradizione e di incentivare l’istruzione e la divulgazione.

Che cosa significa la danza per te? 

Un linguaggio di espressione senza eguali, la voce dell’anima che si espande nei movimenti.

Il tuo sogno nel cassetto?

È un periodo particolare, penso a tante cose, sono sempre desideroso di nuove esperienze, ruoli, si vedrà.

Progetti futuri?

Lago dei cigni in Kazan e Schiaccianoci al Bolshoi.

Sara Zuccari

Alessandra Ferri la danza fatta persona e orgoglio della nostra nazione

Alessandra Ferri è  oggi considerata Internazionalmente una delle più importanti ballerine del mondo e orgoglio della nostra nazione.

I primi passi di danza li fece alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano, ma, dai 15 anni in poi studiò presso la Royal Ballet School. A soli 19 anni era già Principal Dancer del Royal.

Domanda di rito, come è nata per Alessandra Ferri la passione per la danza?

È nata con me, credo. Mi ricordo che sin da piccola, avevo tre anni, in casa inventavo delle coreografie con la musica. Era tutto talmente naturale e spontaneo, sono sicura che la danza sia una passione innata dentro di me. Poi mi fece scattare la scintilla il primo balletto che vidi a Monza, dove i miei genitori si erano trasferiti, alla visione rimasi folgorata e chiesi alla mia famiglia di essere iscritta ad una scuola di ballo.

Fu infatti prescelta da Sir Kenneth MacMillan come protagonista dei suoi balletti Romeo e Giulietta, Manon, Mayerling. La Ferri si rivelò subito un’interprete eccezionale. In lei tutto parla, ogni gesto, ogni sguardo, ogni movimento; tutto è messo la servizio del ruolo che deve interpretare, non si risparmia in nulla, pur di rendere credibile il suo personaggio ed emozionare il pubblico, emozionandosi lei stessa per prima.

A soli diciannove anni diventa la principal dancer del Royal Ballet. Una grande responsabilità!

Una responsabilità enorme direi, ma ricordo di quegli anni la forte dedizione che avevo per raggiungere la mia missione. Certo è che non ho vissuto la mia adolescenza perché le responsabilità erano molte, pensi così giovane debuttare al Covent Garden in ruoli creati appositamente per me era una prova ardua. Però è stato tutto meraviglioso e allo stesso tempo difficile.

Alessandra Ferri non mostra infatti come si possa ballare con espressività, ma trova l’impulso giusto per rendere i passi che esegue inevitabili: “Quando io danzo ho la necessità di essere assolutamente vera, di farmi toccare l’anima dal mio partner, di toccargli io il cuore, di amare veramente”.

La sensibilità della Ferri è veramente particolare e preziosa; di questo si accorsero gli inglesi e soprattutto Sir MacMillan, che creò per lei A Different Drummer, Valley of Shadows.

Nel 1985 raggiunse l’American Ballet Theatre, accogliendo l’invito di Mikhail Baryshnikov; con questa compagnia ha ballato i ruoli dei più importanti balletti del repertorio classico, effettuando tourneé in tutto il mondo e ancora oggi continua ad essere Guest Artist.

Baryshnikov la definì: “Una classicista con limmaginazione di Isadora Duncan”.

New York è la Sua seconda casa… Dove ha scelto di vivere con la sua famiglia?

Sì, New York è la mia seconda casa, ci vivo dal 1985; in realtà ho passato più anni in America che a Milano. La prima volta che vi andai fui invitata da Michael Baryshnikov, quando era direttore della compagnia, come étoile ospite al Metropolitan.

E Michael Baryshnikov?

È stato un incontro fondamentale per la mia carriera e per la mia formazione. È stata per me una prova molto importante, ho avuto sicuramente un coraggio da leoni, perché quando ho ballato con lui avevo ventun’anni e lui era all’apice del successo, bello, bravissimo e richiestissimo. Da Baryshnikov ho imparato molto, anche perché è molto pignolo e maniaco della perfezione. Ricordo quella bellissima Giselle per la TV di Herbert Ross, danzata insieme a lui nel 1987, in cui mi è stato riconosciuto dalla critica il ruolo e l’interpretazione del personaggio, direi, tra i ruoli romantici, quello che mi si addice di più. Perché Giselle? Perché non è una fiaba, è un personaggio vero, una donna, con tutte le sue sfaccettature e sentimenti, io amo interpretare personaggi reali, per questo mi ci rispecchio moltissimo.

Affermatasi ormai come étoile internazionale, è stata invitata come artista ospite nelle compagnie più prestigiose di danza di tutto il mondo. Nel 1992 Roland Petit la chiamò all’Opéra di Parigi per interpretare il ruolo di Carmen: per la prima volta un’artista italiana veniva invitata come ospite di questa compagnia. Roland Petit le affidò in seguito altri balletti (La Chambre, Coppelia, Le Diable Amoreux, e molti altri) e le propose nel 1994, di interpretare La Voix Humaine, sul testo di Cocteau, in cui danza e recitazione si fondono insieme.

Alessandra Ferri è stata anche la musa ispiratrice di molri coreografi contemporanei come William Forsythe; che creò per lei Quartetto.

Da ricordare l’indissolubile legame leggendario e onirico della coppia Alessandra Ferri e Julio Bocca, un sincrono perfetto dove passione ed eleganza si fondono in un sogno assoluto.

Che cosa è la danza per Alessandra Ferri?

È lo specchio dell’anima che si muove per via del “fuoco sacro” della danza e solo chi lo possiede può sapere a cosa mi riferisco.

Un sogno nel cassetto?

Mi piacerebbe tornare alla Scala con un nuovo progetto, fare qualcosa di interessante in questa nuova fase della mia vita. Sono molto legata alla Scala, è il mio teatro come, del resto, sono legata al pubblico milanese.

Nella vita della Ferri ci sono stati grandi amori, oltre a quello più forte e totale per la danza. Nel 1996 conosce Fabrizio Ferri, fotografo e artista, ed entrambi si innamorano l’uno dell’altra, un sentimento travolgente che li unisce. I due si sposano e dalla loro unione nascono Matilde ed Emma. Suo marito è autore degli scatti più intensi ed emozionanti che la ritraggono e immortalano per sempre perfetta e imperturbabile.

Nel 2013 la danzatrice compie 50 anni. Un traguardo che Alessandra Ferri vuole celebrare annunciando inaspettatamente il suo ritorno in palcoscenico. Tra lo stupore e la gioia di tutti, Alessandra si concede nuovamente al suo pubblico che tanto l’ha amata e che ha di nuovo l’occasione di ammirarla.

Nel dare una spiegazione alla sua decisione, la Ferri dichiara con molta sincerità di voler proseguire nel suo percorso di vita di donna con un rinnovato approccio alla danza:

 “mi piace pensare che questo non sia un ritorno sulle scene ma un andare avanti nella mia vita artistica che non è slegata da quella di donna”.

Nel 2015 e nel 2017 danza alla Royal Opera House in Woolf Works, un balletto di Wayne McGregor ispirato agli scritti di Virginia Woolf. Per la sua performance vince il Laurence Olivier Award per l’eccellenza nella danza. Nel 2019 torna a danzare al Teatro alla Scala il balletto di Mc Gregor con enorme successo.

Nel frattempo si è sviluppato uno stretto legame con il Teatro alla Scala e Roberto Bolle, dove dal 1992 è diventata ballerina assoluta della compagnia, la più alta carica che una Stella della danza può ricevere.

Sara Zuccari

Carla Fracci, ritratto di un mito dei nostri giorni

Carla Fracci è per tutti la personificazione danza. È il sogno di tutte le bambine che vogliono studiare danza classica. È una donna caratterizzata da dedizione assoluta alla danza: un mito vivente del balletto. Dietro al mito costruito di Carla, c’è la forza che lo ha creato: lei stessa. Non si è infatti costruita un personaggio, non è dovuta ricorrere a continue revisioni e adeguamenti dell’immagine, come tante persone di successo, perché non è un tipo, è lei.

Il suo è un successo che non ha conosciuto periodi di crisi, ma solo una continua crescita. Eppure non è diva tradizionale; ha mantenuto la sua spontaneità e genuinità popolare; anche nella vita quotidiana, fuori dal teatro, ha la stessa eleganza, lo stesso equilibrio, la stessa nobiltà d’animo che solitamente esterna attraverso la danza: è come se fosse sempre “in punta di piedi”.

Questo suo modo di essere e di porsi agli altri ha fatto nascere sin dall’inizio alla gente una spontanea adesione alla sua persona. La danza le ha offerto, nella società delle immagini, l’opportunità di diffondere di sé un’immagine gradevole e naturale, senza forzature, nella quale spiccano i suoi occhi scuri e profondi, un corpo esile e nobile, le lunghe braccia e le grandi mani parlanti.

Ha un animo complesso e attento a ogni piccola cosa, con le sue contraddizioni e ostinazioni, in grado, tuttavia, di esprimersi con una dolcezza incredibile. Ha un carattere forte e una dolcezza un po’ ruvida di ragazza lombarda. La sua fissazione consiste nell’osservare e nel cercare di cogliere la naturalezza e lo sforzo con cui le persone comuni tentano di comunicare, nello studiare la logica dei loro gesti che lei presto trasformerà in danza, musica, partecipazione.

Questa attenta osservazione nella gestualità connessa  alla comunicazione richiama alla mente François Delsarteil teorico francese del XIX secolo che analizzò i gesti e le espressioni del corpo umano, suddividendo i movimenti in tre categorie (eccentrico, concentrico e normale) e le espressioni in tre zone (testa, busto, estremità) per arrivare ad un metodo di insegnamento del movimento.

Il Credo della teoria delsartiana, infatti è che non esiste movimento che non abbia significato; il modo di muovere le singole parti del corpo è sempre indicativo del diverso atteggiamento emozionale soggettivo, delle proprie motivazioni e della differente maniera di reagire alla situazione affrontata.

Delsarte affermò così che la prima regola dell’arte doveva essere la profonda significativa del gesto. La danza, per la Fracci, non deve mirare a sbalordire il pubblico per la bravura dei ballerini; la tecnica non va ostentata, va nascosta piuttosto, in quanto non è altro che lo strumento con il quale l’artista può offrire se stesso.

Il fine è quello di comunicare, di scavare nel profondo dell’animo umano, di chiamare tutti all’emozione di vivere ciò che sta accadendo sulla scena. Il suo viso, le sue mani, il suo sguardo sono sempre altamente espressivi, indipendentemente dalle difficoltà tecniche. È dotata di un forte istinto mimico, tipico delle grandi attrici alle quali è paragonabile anche per la ricerca che compie dentro di sé per ogni personaggio che deve affrontare.

Giulietta Masina si riconobbe nell’interpretazione che la Fracci fece di Gelsomina.

Clives Barnes l’ha definita in un suo articolo sul New York Times “una Duse della danza”. Ma l’artista si riserva uno spazio personale d’inventiva ogni sera, così da rendere unica ogni replica.

La sua storia richiama alla mente le eroine delle fiabe: è la figlia di un tranviere e di una bullonista alla Innocenti di Milano, che diventa una stella. I genitori avevano la passione per il ballo liscio e portavano spesso Carla nelle balere. Entrò alla Scala per caso: un’amica di famiglia, la moglie di un violinista della Scala, le consigliò di provare a sostenere l’esame di ammissione; lei aveva nove anni, fu ritenuta poco idonea, ma poi il suo visino tenero e i suoi occhini colpirono la direttrice, che ci ripensò.

All’età di 15 anni, vedendo danzare Margot Fonteyn, capì che la sua strada era quella e Margot il suo modello. Accettò così tutti i sacrifici, la fatica, gli sforzi, il sudore che la danza richiede. Disse: “Solo se si è sicuri di quello che si vuole ci si dimentica che dentro le scarpette di raso i piedi sanguinano. Ho lavorato, ho lavorato come qualsiasi operaio e per tutta la vita; ed è così anche oggi, senza riposo”.

Divenne prima ballerina alla Scala nel 1958; in quello stesso anno, il grande coreografo John Cranko la scelse come Giulietta nella sua versione di Romeo e Giulietta per la Fenice di Venezia. Eugenio Montale, il noto poeta, scrisse: “Carla Fracci è Giulietta… Carla eterna fanciulla”.

L’anno successivo interpretò per la prima volta Giselle per il Royal Festival Hall di Londra e nacque subito il suo grande amore per quel personaggio che più di tutti l’ha resa celebre e consegnata alla storia della danza. La Fracci portò alle estreme conseguenze la partecipazione interiore al personaggio, provocando così un arricchimento di gesti e movimenti che inserì un po’ per volta; ci fu in particolar modo una chiara scelta espressiva in alcune parti del balletto, considerate fino ad allora convenzionali, e nella sua lettura del balletto la Giselle del primo atto sembra già consapevole di ciò che accadrà nel secondo.

Tra i grandi ruoli romantici che la Fracci interpretò è doveroso ricordare anche la silfide in La Sylphide, il balletto creato da Filippo Taglioni per la figlia Maria, che segnò l’inizio della carriera romantica caratterizzata dal tutù bianco, dal salire sulle punte, dalla leggerezza eterea delle ballerine che sembrano quasi librarsi in aria.

Carla Fracci ne accetta lo stile, le movenze e la concezione, per liberare poi i sentimenti primordiali. La Fracci interpreta i ruoli romantici con coscienza moderna, usa il linguaggio di allora ma dà a quei gesti la sua anima; dove interviene con qualche cambiamento, lo fa sempre attraverso il linguaggio dell’epoca. Il successo che riscosse nel repertorio romantico fu tale che venne paragonata alla Taglioni.

Carla Fracci è anche una grande ballerina contemporanea. Il regista Beppe Menegatti, con il quale è sposata da molti anni, ha allestito per lei numerosi balletti in collaborazione con il coreografo Loris Gai (Il GabbianoMacbethPanteaIl Fiore di PietraPelléas et Mèlisande, etc…), in cui la Fracci ha sperimentato l’arricchimento dei gesti moderni, inserendo elementi di mimo su una base classica, ricercando un gesto-guida che rendesse al meglio la caratteristica psicologica principale del personaggio.

Molteplici sono stati gli spettacoli creati per lei e creati sulla sua personalità da vari coreografi (Dio salvi la ReginaAmletoRicordo di Isadora DuncanShakespeare in danza, etc.) spesso con la regia dello stesso Menegatti. Il repertorio dei personaggi da lei interpretati è sorprendente, per numero e varietà: Francesca da Rimini, Cleopatra, Gelsomina, Salomé, Medea e tanti altri, tutti caratterizzati in modo particolare. Le sue doti di grande attrice le hanno permesso di cimentarsi anche nel teatro di prosa e nel cinema.

Artista poliedrica, sempre in grado di stupire gli spettatori, Carla Fracci così parla di sé: “Per me il ballo è un lavoro, un lavoro come un altro; la mia vita è una vita come un’altra… certo, quando sono lì, per entrare in scena, ancora in mezzo alle cose solite, ma con la mente già nella danza, mi sembra quasi che la vita si possa, si debba vivere tutta insieme, in quel momento…”

Sara Zuccari