Jacopo Bellussi è nato a Genova. Ha studiato all’Accademia Teatro alla Scala di Milano e al Royal Ballet School di Londra, istituzione in cui si è brillantemente diplomato. Attualmente è primo ballerino presso il Corpo di Ballo dell’“Hamburg Ballet” diretto da John Neumeier. Una stella italiana ad Amburgo dotato di forte tecnica, spiccata verve scenica, un talento vero, sincero, pulito, che dona al proprio pubblico picchi di interpretazione eccelsa, emozionando ed emozionandosi.
Una stella italiana nel mondo, mi racconti da dove sei partito?
Ho iniziato con la danza un po’ per caso, grazie alla zia materna, abbonata alla stagione d’opera e balletto del Teatro Carlo Felice di Genova, quando avevo solo cinque anni decise di portare me e la mia cuginetta a vedere – L’ uccello di fuoco di Maurice Bejart . A differenza di mia cugina che dopo 10 minuti voleva già tornare a casa perché si stava annoiando, io rimasi letteralmente folgorato da quello spettacolo e dal mondo del teatro, in un certo senso mi sembrava di far parte di quella realtà da sempre: i rumori degli strumenti che si accordavano prima dello spettacolo, il palco illuminato, il suono delle punte sulla scena e quell’atmosfera così unica e difficile da descrivere, era come se facessero parte di me da ancor prima che io entrassi in quel luogo magico. Solo a 8 anni però, dopo alcuni anni passati a provare tutti gli sport possibili e immaginabili ( mamma e papà sono da sempre stati grandi sportivi ) e dopo essere andato a guardare il saggio di danza di un’amica, la sua insegnante mi fece notare che secondo lei avevo il fisico e le doti necessarie per fare il ballerino e quindi decisi di provare …. Da quel giorno non ho più smesso e quella passione e diventata anche la mia professione.
Quando hai capito di aver spiccato il volo?
Ci sono stati tanti momenti belli e significativi che mi hanno dato moltissima felicità e soddisfazione negli ultimi anni, ma forse il più speciale è stato quello della mia nomina a primo ballerino nel 2019. Il traguardo che mi ero prefissato fin da piccino e per il quale sia io che la mia famiglia abbiamo fatto moltissimi sacrifici e lottato contro tante avversità e sfide che a volte pensavo di non superare. Forse più che uno spiccare il volo vero e proprio è stato per me il riconoscimento tangibile con il quale dimostravo loro di avercela fatta e li ringraziavo per tutto quello che hanno sempre fatto per me, se sono riuscito a spiccare il volo in qualche modo l’ho fatto insieme a loro e in quel momento essere nominato primo ballerino in scena da John Neumeier con loro nel pubblico è stato il regalo più bello che potessi ricevere, il coronamento di un sogno che non si sarebbe mai avverato senza la mia famiglia sempre presente accanto a me.
Jacopo, cosa rende speciale il corpo di ballo dell’Hamburg Ballett?
Sicuramente la diversità dell’ensemble è una delle caratteristiche più belle e interessanti dell’ Hamburg Ballet. Siamo in 65 danzatori provenienti da tutto il mondo e diversissimi non solo fisicamente ma anche dal punto di vista di personalità e artistico . Normalmente la maggior parte delle compagnie tende ad avere delle esigenze particolari per quanto riguarda le qualità fisiche e di stile richieste per far parte del loro ensemble, l’Hamburg Ballet abbraccia la diversità di stile, di fisico e di personalità come un dono unico e per questo trovarsi in un organico come quello di Amburgo è fonte di grande ispirazione e crescita per un artista che vuole maturare …. Ci si trova a contatto con artisti così tanto diversi l’uno dall’altro che non si può che essere ispirati e spronati a imparare e a migliorarsi ogni giorno.
A proposito di John Neumeier, quali sono i maggiori insegnamenti ricevuti da lui e in veste di direttore quali ritieni siano i suoi punti di forza vincenti?
John è il più grande story teller che io conosca, il modo in cui riesce a raccontare una storia senza usare le parole e a passare al pubblico e quindi anche ai propri danzatori le sfumature e i connotati della personalità dei personaggi che ne fanno parte è il suo più grande punto di forza a mio parere. I suoi balletti sono strutturati in modo cosi geniale e perfetto che è veramente la coreografia che ti porta a essere il personaggio che stai interpretando, senza bisogno di rifletterci su e di chiedersi come si potrà approcciare quel preciso ruolo. Spesso e volentieri prima degli spettacoli mi sono sentito dire dai maestri della compagnia: lascia che la coreografia ti porti con se ….
Ed è proprio così, perché nelle sue opere l’interprete si sente completamente trasportato dalla storia che in un certo senso ti accade senza che tu te ne accorga grazie a come lo spettacolo è stato ideato: la coreografia, le luci, i costumi, la musica, creano un’atmosfera che ti trasporta nella realtà della vita del personaggio che si sta interpretando senza il bisogno di doverci pensare su…. È una sensazione davvero indescrivibile e magica che penso solo pochi coreografi sono capaci di creare e trasmettere. Da John ho imparato tante cose ma in primis il significato della dedizione completa e più totale a questa arte e professione. Come tutti i geni, John non è sempre una persona facile con cui lavorare, richiede 300% da ognuno dei suoi ballerini e ancora di più da se stesso…. mi ha fatto capire che restando se stessi senza cercare di emulare nessun altro e lavorando duro ogni giorno credendo nei proprio sogni e ponendosi degli obbiettivi chiari si può davvero raggiungere qualsiasi cosa.
Tra i maestri dei tuoi inizi, da bambino, chi ricordi e quando ti sei accordo che la danza sarebbe diventata la tua vita?
Sicuramente Maria Luisa Capiferri, la mia prima insegnante di danza a Genova è stata per me una figura di grande importanza che mi ha segnato in modo indelebile sin da piccino, quando all’età di 8 anni sono entrato per la prima volta nella sua scuola. Grazie a lei ho imparato il significato della disciplina, a sviluppare da subito un occhio critico nei miei confronti e a capire che la danza è molto di più che una serie di passi messi assieme che compongono una coreografia, ma una delle più nobili espressioni della nostra essenza di essere umani attraverso la quale possiamo toccare gli animi altrui. Insieme a lei anche Kathrine Wade, responsabile dell’Outreach Programme della Royal Ballet School, che ha visto in me qualcosa di speciale prima che chiunque altro lo facesse, è stata per me un vero e proprio mentore dal punto di vista artistico e anche una seconda mamma per tutti i miei anni a Londra. È stata lei che mi ha portato alla Royal Ballet School e mi ha seguito e sostenuto in tutto il mio periodo di formazione e lo fa ancora adesso. Entrambe sono state indispensabili nel mio percorso formativo come danzatore e come uomo.
La tua prima volta in assoluto in palcoscenico?
La primissima volta in palcoscenico è stata quando ero molto piccolo ( forse 4 o 5 anni ) nel paesino di campagna dei nonni materni. Tutte le estati i genitori dei bambini organizzavano delle recite e degli spettacolini per gli abitanti del paese e mi ricordo quanto nonostante il teatro fosse molto piccolo e il pubblico composto principalmente da familiari e amici, il momento dello spettacolo, ma anche delle prove stesse fossero per me tra i più belli di tutta l’estate . Quella sensazione di trepidazione e attesa prima di iniziare lo spettacolo per poi ritrovarsi sul palco con le luci accese e il buio davanti a me sono da subito rimasti impressi nella mia anima, si può di certo dire che il mondo del teatro ha avuto da subito un fascino irresistibile su di me, sin da prima che conoscessi la danza .
La prima volta che ti è stato affidato un ruolo da primo ballerino cosa, dove e quando?
Il ruolo di Romeo è stato il mio primo grande ruolo e ancora adesso ha un posto molto speciale nel mio cuore e lo sento particolarmente vicino al mio essere e alla mia personalità . L’ho danzato la prima volta all’ età di 21 anni nel 2015 insieme a una mia carissima amica e partner, Emilie Mazon che a soli 19 debuttava anche lei come Giulietta . Ricordo ancora John lo comunico in scena davanti a tutta la compagnia dopo la prova di un suo altro balletto , eravamo emozionantissimi e anche molto agitati, avevamo solo 3 settimane per imparare l’intera coreografia e entrambi avevamo pochissima esperienza di scena. È stata un’esperienza unica, poter danzare assieme ad una Giulietta che come me debuttava nel ruolo, ci ha dato la possibilità di creare la nostra storia e di trovare una nostra complicità e intimità nei due ruoli centrali e si può dire che ogni volta che l’abbiamo ridanzato dopo quella volta è stato in un certo senso come fosse sempre la nostra prima, un personaggio che continua a crescere insieme a me e dentro di me ogni volta che lo interpreto, aiutandomi a scoprire sempre nuove sfaccettature della mia personalità .
Come ti avvicini ad un personaggio che devi interpretare?
Una cosa che non mi piace mai è il cercare di riprodurre il personaggio attraverso la conoscenza perfetta e alla lettera della storia che si sta raccontando. Penso sia di vitale importanza nel periodo di preparazione ad uno spettacolo di leggere il libro o il romanzo da cui è tratto il balletto che si sta provando per capire meglio le sfumature e le ragioni che hanno spinto quel personaggio a fare determinate scelte, ma credo anche sia fondamentale mantenere un lato di spontaneità per cercare di chiedersi come la persona che lo interpreta reagirebbe a quelle situazioni, il che può essere diverso e cambiare ogni giorno e durante ciascuna replica anche se il balletto sia lo stesso e il ruolo che si sta interpretando anche. Non amo essere in scena e pensare che io sia Romeo o Vronsky o Oberon o qualsiasi altro personaggio, io sono semplicemente Jacopo sia sul palco che fuori, certo la storia è già stata scritta e bisogna attenersi ad essa, ma quello che è la reazione e il modo in cui l’interprete reagisce ai vari avvenimenti deve rimanere qualcosa di assolutamente spontaneo e legato completamente alle sensazioni e emozioni provate dall’artista in quel preciso momento .
Tra i miti della danza ce n’è uno che è stato per te fonte di ispirazione?
Quando ho incominciato a studiare danza la mia insegnante mi ha mostrato moltissimi video meravigliosi di ballerini che hanno segnato la storia della danza maschile e che sono stati per me una fonte enorme d’ispirazione , ma in particolare ricordo di essere rimasto a bocca aperta nel vedere un filmato di Jorge Donn danzare il Bolero di Bejart…. Mi ricordo di aver pensato nel guardare quel video che non avevo mai visto qualcosa di così forte e potente e sensuale e fragile allo stesso tempo, dopo aver visto quel filmato penso di aver cercato ogni singolo video esistente di Jorge Donn, era più di un danzatore, era come guardare la musica prendere forma e trasformarsi costantemente. In anni più recenti, appena entrato in compagnia ad Amburgo, sono stato enormemente fortunato nel lavorare con artisti come Thiago Bordin e Otto Bubeniceck, entrambi ex principals in compagnia e artisti di una profondità infinita, due veri e propri poeti in scena; mi hanno entrambi influenzato e ispirato moltissimo a diventare il danzatore che sono oggi.
Il tuo sogno nel cassetto?
Sicuramente poter continuare a interpretare altri ruoli meravigliosi come quelli che ho danzato fino ad ora e poter avere la possibiltà di essere in palcoscenico il più possibile per provare le emozioni che solo il teatro sa regalare, sia al pubblico che ai suoi interpreti. In futuro mi piacerebbe anche riuscire a riportare una realtà di danza di alto livello nella mia Genova e in Liguria come quella che ho la fortuna di vivere tutti i giorni ad Amburgo, riportando le grandi compagnie di tutto il mondo sui nostri palcoscenici e magari chissà ,anche riportare una compagnia stabile al Teatro Carlo Felice. Nonostante io sia partito di casa da molto piccino sono sempre rimasto attaccato alla mia terra e alle mie radici genovesi in modo molto profondo e viscerale, e il poter riportare nella mia città una realtà simile a quella che si viveva ai tempi del Festival di Nervi di Mario Porcile, sarebbe un vero sogno a occhi aperti.
Che cosa significa la danza per te?
È molto difficile poter dire cosa significa per me la danza perché non la vedo come una cosa esterna a me, ma parte integrante della mia persona. Fa parte di chi sono e in un certo senso posso paragonarla al bisogno di respirare. Penso che in un certo senso sia il modo migliore in cui io riesco a comunicare chi sono agli altri e di vivere a pieno la mia esistenza. John ha definito molte volte la danza come “the living shape of emotions” ecco penso non ci sia davvero modo migliore per descriverla che con questa frase.
Jacopo Bellussi allo specchio, cosa vede?
Vedo una persona estremamente fortunata, che è riuscita a fare della sua passione la sua professione, con una famiglia meravigliosa alle spalle sempre pronta ad appoggiarlo e che nonostante i sacrifici fatti per raggiungere i suoi obbiettivi rifarebbe tutto esattamente da capo se avesse la possibilità di tornare indietro nel tempo. Mi ritengo davvero estremamente privilegiato nel trovarmi dove sono in questo momento.
Sara Zuccari